Daniele Ponchiroli (Viadana, MN, 14 giugno 1924 / Parma, 29 maggio 1979)
Testimonianza ricordo di GIUSEPPE PAPAGNO (primo Presidente della Fondazione Daniele Ponchiroli e amico personale, eminente storico, collaboratore della casa Editrice Einaudi).
Quando Daniele Ponchiroli scomparve nel 1979, Ruggiero Romano ed io partecipammo alla sua morte
col seguente annuncio pubblicato sul “Corriere della Sera”: “È morto Daniele Ponchiroli, un uomo
giusto”. A noi due parve spontaneo che il senso di uomo giusto fosse stato il suo vero vestito,
indossato in ogni occasione e giorno nella casa editrice come nella sua vita privata.
Ho conosciuto Daniele quando proposi la pubblicazione del mio primo lavoro ad Einaudi. Nel giorno
fissato in via Biancamano, un giorno di ottobre del 1971, mi si presentarono lui e Corrado Vivanti.
Conoscevo e ammiravo Vivanti per i suoi scritti ma ignoravo chi fosse l’altro personaggio. Il mio lavoro
riguardava una istituzione curiosa afro-portoghese in Mozambico tra Otto e Novecento. Mi dissero
subito che ignoravano tutto del mio soggetto e mi chiesero di parlarne. Vivanti mi fissava
attentamente e mi poneva molta soggezione, mentre il volto di Daniele, caldo, umano, con la pipa in
bocca e con occhi sereni era incoraggiante. Fu quel volto che mi salvò. Guardai solo lui e riuscii a
parlare con passione a lungo di un lavoro a me costato quattro anni di ricerche a Lisbona. Dei due,
come seppi dopo, il più curioso era stato proprio Daniele, che ne affidò poi la lettura a Ruggiero
Romano, che la approvò caldamente, facendolo così pubblicare. Da quell’episodio è iniziata la mia
lunga e profonda amicizia con Daniele e la mia collaborazione più che decennale con la casa editrice.
Ogni volta che andavo a Torino per curare la pubblicazione del mio libro, Daniele mi invitava a
colazione e, dopo, divenne rituale fare assieme lunghe passeggiate fino alla riva del Po. Parlavamo
entrambi di tutto e quegli incontri erano di tale calore umano e culturale da indurmi ad inventare
spesso molte ragioni, anche futili, per andare a Torino e passare qualche ora con lui e il piacere era
davvero reciproco.
A pubblicazione avvenuta mi consigliò di andare a ringraziare Ruggiero Romano nella redazione
milanese di Einaudi, visto che aveva patrocinato la pubblicazione. Romano mi propose subito di
lavorare con lui al progetto di una Storia universale (che mai poi si fece) e alla Enciclopedia. Accettai
questa proposta ma con molto timore, dato il personaggio. Solo dopo, ma assai dopo, intuii come alla
base di quella proposta vi era il senso delle lunghe “parlate” nelle passeggiate torinesi con Daniele.
Egli, con delicatezza e umanità, aveva saggiato la mia persona, mescolando nei suoi discorsi, come
solo lui sapeva fare, senso umano e cultura, passione per la ricerca e acuta curiosità verso ogni
aspetto del mondo, verso i grandi come i piccoli uomini, verso le grandi idee e le cose comuni che
riempiono la vita di ogni giorno e ogni passo era uno stimolo a interloquire con lui su tutto. Poi, negli
anni di vita turbinosa tra casa editrice a Milano e il mio impegno in Università a Parma, i rapporti con
Daniele si rilassarono, intervallati solo di tanto in tanto dalle passeggiate rituali quando andavo a
Torino. Crebbero assai di intensità solo quando Daniele decise di pensionarsi e ritirarsi nel suo paese.
Nel viaggio di ritorno tra Università e casa, a Mantova, in breve divenne per me rituale fare sosta a
Viadana. Sorseggiavamo un caffè nello studio, seduti a fianco del lungo tavolo di lavoro di Daniele,
dove, sul fianco, erano inchiodate vecchie insegne di negozi, come “olio di semi”, “carne di cavallo” …,
che bene si coniugava con la grossa stilografica sul tavolo e con i tanti oggetti comuni ma di “senso”
che lo costellavano e che davano un sapore antico e vissuto ai molti libri che vi erano in rudi scaffali di
legno e alla stanza tutta. Si parlava molto, sia di “cose grandi e importanti” – la Einaudi e i suoi
uomini, il mio lavoro con Romano, i progetti nuovi, i problemi della casa editrice… – sia, non da meno,
del “piccolo”.
Così, progettavamo avventure locali, come quelle curate da Adolfo Ghinzelli – grande e appassionato
compagno di ricerche locali di Daniele – sulle fotografie di Viadana, sulla pubblicazione dei ricordi
africani di Acerbi, sulla riedizione della storia di Viadana di Parazzi… Inoltre, ci avventuravamo noi tre
– Daniele, Ghinzelli ed io – in escursioni sul territorio, facendo colazione in osterie o visitando corti
interessanti. Quelle gite di tre signori, più o meno attempati, sono state per me una lezione
indimenticabile. Daniele mi fece scoprire la conoscenza del territorio, gli uomini che vi vivevano e vi
erano vissuti, le trame della campagna, le corti e il lavoro, il gusto, insomma, di sollevare il velo sulla
storia e sulle figure della gente comune, per farla riapparire viva, in carne ed ossa e non più come
fantasmi di un passato senza storia. Questi incontri frequenti davano un piacere immenso, scalfito solo
dai cruci di Daniele per il suo lavoro di consulente Einaudi a Viadana. La sua uscita da via Biancamano
aveva lasciato un vuoto non colmato. Come segretario generale, per anni Daniele si era trovato alla
intersezione di tutte le attività editoriali e degli uomini che, all’interno o all’esterno come consulenti e
autori, operavano per la Einaudi e per Giulio Einaudi. In tale funzione, Daniele era stato sempre
capace, con profonda e fine cultura accompagnata da delicatezza, umiltà e senso umano, di
compensare tutte le tensioni e spinte opposte, anche laceranti, che avvenivano nella casa editrice.
Questo suo essere al “nodo” di tutto era stato un impegno assai gravoso e defatigante, che nel tempo
lo aveva assai provato. Di qui, assieme al profondo desiderio di tornare al paese dove far crescere il figlio Marco, scaturì la sua decisione di “pensionarsi”, cosa mai digerita da Giulio Einaudi. Ho assistito
di persona a molte telefonate dell’editore a Daniele per indurlo a tornare a Torino. Ho visto, però,
anche la valanga di dattiloscritti e manoscritti, spesso assai modesti di qualità come lui diceva,
inviatigli da Torino per lettura e stesura di schede. Questo lavoro lo opprimeva e gli distoglieva mente
e passione dalla attenzione verso quel “locale” – che tale poi non era affatto nella sostanza! – che ora
amava ripercorrere per farlo riscoprire ad altri. Più d’una volta sospettai che quello fosse un “sistema”
per indurlo a tornare a Torino. Un’altra occasione per stimolare un “ritorno” fu forse l’idea sollecitata
da Giulio Einaudi di una “Enciclopedia per ragazzi”, il cui progetto fu steso da Daniele, Romano, Primo
Levi ed io. Da allora è però rimasto nel cassetto per i fatti che seguirono;
Il 1978 Giulio Einaudi mi propose di andare a Torino come “praticante segretario generale”, attività che
svolsi per un solo anno prima di tornare a Milano. Quello fu anche l’anno della malattia di Daniele, che
si manifestò in dicembre. Io ebbi la dolorosa ventura di accompagnarlo tra l’ospedale di Brescello e
quello di Parma. Poi venne la sua morte, con il vuoto umano e culturale lasciato non solo a me ma al
gran numero di persone che hanno avuto la grande fortuna di conoscerlo e di ricordarlo con molto
calore e profondo rispetto anche a molti e molti anni dalla sua morte.
Ora ho il grande onore di presiedere la Fondazione intitolata a suo nome e a lui dedicata la attenzione
verso di me da parte di coloro che hanno pensato di crearla e finanziarla. Non ho le rare qualità di
Daniele, lo so bene. Faccio assai fatica nel cercare di seguirne le tracce e nel tentare di riproporle a me
stesso e ad altri, in accordo con il suo “stile” umano e culturale nel vivere, che era e rimane
ineguagliabile.
Al tempo stesso sento in me il dovere di tentare di mantenere vivo il tracciato delle orme di un raro
uomo giusto, perché rimangano impresse a sua memoria nella terra di Viadana, proprio come quelle,
viste da me e Daniele alla televisione, di un uomo adulto, di una donna e di un giovane impresse nel
fango fossile molte migliaia di anni fa alle pendici del Monte Kenya, che poi scomparivano
progressivamente ma che proseguivano in modo simbolico nel cammino futuro dell’umanità.
Giuseppe Papagno